VERONA RICORDA GIUSEPPE CORSO NEL 69° ANNIVERSARIO DELLA TRAGEDIA DI MARCINELLE

L’8 agosto 1956, a causa di un enorme incendio, persero la vita 262 minatori, 136 dei quali emigrati italiani tra cui il veronese Giuseppe Corso.

Un fenomeno quello delle vittime sul lavoro che non si arresta e che vede nella Regione Veneto un aumento nel primo semestre del 2025 del 111% della mortalità sul lavoro, con  più di 800 morti a livello nazionale da inizio anno, quindi uno ogni 6 ore (dati Inail).

La tragedia di Marcinelle, sobborgo operaio di Charleroi in Belgio, è il simbolo alla memoria di tutti gli emigrati italiani che hanno perso la vita sul lavoro. Un mestiere duro, faticoso e pericoloso che, l’8 agosto 1956 nella miniera di carbone del “Bois du Cazier”, costò la vita a 262 minatori, 136 dei quali italiani, soffocati dall’ossido di carbonio e braccati dalle fiamme di un incendio.

Uno di essi era il veronese Giuseppe Corso che è stato commemorato oggi, in occasione della Giornata nazionale del Sacrificio del lavoro italiano nel mondo, con la deposizione di una corona nella via a lui intitolata nel 2001 a San Felice Extra.

Durante la cerimonia, alla quale sono intervenuti l’assessore alla Memoria storica Jacopo Buffolo, i parenti di Corso, la nipote Maria Elisa, le organizzazioni sindacali, i rappresentanti delle istituzioni militari e civili cittadine dell’associazione Veronesi nel Mondo, si è ricordato quanto sia necessario tutelare i lavoratori, indipendentemente dalla nazionalità e il luogo di lavoro.

“Nel 2025 in Italia sono morti 873 tra lavoratori e lavoratrici, circa uno ogni 6 ore, il 111% in più nella sola Regione veneto – dichiara Jacopo Buffolo – Lavoratori che continuano a morire, cadendo dall’alto, soffocati, schiacciati, per macchinari senza protezioni. Si muore di caldo, nei campi o nei cantieri, come si moriva 70 anni fa. Si muore dove si lavora male, dove il lavoro è povero, precario, sfruttato, svalorizzato e senza tutele. Dobbiamo ricordarci che quei numeri sono persone, drammi, dolore, famiglie che soffrono, ingiustizie che si consumano. E’ una tragedia che deve essere fermata. A ciò va aggiunto che gli emigrati italiani non trovarono solo sfruttamento e condizioni di vita miserevoli, ma furono anche guardati con diffidenza e sottoposti a discriminazioni apertamente dichiarate: davanti alle case da affittare comparivano scritte come “ni animaux, ni étrangers” — né animali né stranieri. Questo dovrebbe farci riflettere – prosegue l’assessore – ancora di più sull’oggi perché la Memoria non ha valore se non è agita nel presente, e così deve cambiare il nostro approccio verso chi arriva nel nostro Paese alla ricerca di un futuro migliore, proprio come quei minatori speravano 69 anni fa e si sono trovati traditi. Marcinelle ci ricorda che vogliamo l’Europa dei diritti, del valore del lavoro, delle persone che vengono prima dei profitti”.

Nota storica

La catastrofe mise termine al trattato ‘Uomini contro carbone’, siglato nel 1946 tra l’Italia e il Belgio, in base al quale il Belgio doveva cedere all’Italia carbone in cambio di manodopera italiana da impiegare nelle proprie miniere.

Tra il 1946 e il 1956 più di 140 mila italiani andarono a lavorare nelle miniere di carbone della Vallonia: la presenza degli operai del Belpaese nella miniera di Marcinelle, che oggi fa parte dei patrimoni storici dell’Unesco, era proprio figlia di questo trattato.