Università di Verona e Spallanzani di Roma: sperimentazione del vaccino italiano Grad-CoV2.

Università di Verona e Spallanzani di Roma:  sperimentazione del vaccino italiano Grad-CoV2

Lunedì 31 agosto nella cornice di Palazzo Giuliari, sede del Rettorato, il Magnifico Rettore dell’università di Verona, Pier Francesco Nocini, e il Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, hanno illustrato gli aggiornamenti degli studi scientifici dell’ateneo veronese sul Covid-19. Presente anche il sindaco di Verona Federico Sboarina.

Già dall’ inizio dell’epidemia l’università di Verona è in prima linea con studi e ricerche nei diversi ambiti, spaziando dalla diagnostica alla terapia fino ad arrivare alla recente collaborazione con lo Spallanzani di Roma per la sperimentazione sull’ uomo di Grad-CoV2, il candidato vaccino italiano contro SARS-CoV-2, il virus che causa Covid-19. Il Centro ricerche cliniche dell’azienda ospedaliero universitaria integrata di Verona è stato, infatti, chiamato a dare il suo contributo sia nella definizione del protocollo di studio che nella realizzazione della fase clinica della ricerca.

Il vaccino, realizzato, prodotto e brevettato dalla società biotecnologica italiana ReiThera. ha superato i test preclinici effettuati sia in vitro che in vivo su modelli animali, che hanno evidenziato la forte risposta immunitaria indotta dal vaccino e il buon profilo di sicurezza, ottenendo successivamente l’approvazione della fase 1 della sperimentazione sull ’uomo da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Agenzia Italiana del Farmaco e del Comitato Etico Nazionale per l’Emergenza Covid-19.

Il vaccino Grad-Cov2 utilizza la tecnologia del “vettore virale non-replicativo”, ovvero incapace di produrre infezione nell’uomo. Il vettore virale agisce come un minuscolo “cavallo di Troia”, che induce transitoriamente l’espressione della proteina spike (S) nelle cellule umane. Questa proteina è la “chiave” attraverso la quale il virus, legandosi ai recettori Ace2 presenti all’esterno delle cellule polmonari, riesce a penetrare ed a replicarsi all’interno dell’organismo umano. La presenza della proteina estranea innesca la risposta del sistema immunitario contro il virus.

Attraverso tecniche sofisticate questo virus, assolutamente innocuo per l’uomo, è stato modificato per azzerarne la capacità di replicazione; successivamente è stato inserito al suo interno il gene della proteina S del SARS-CoV-2, il principale bersaglio degli anticorpi prodotti dall’uomo quando il coronavirus penetra nell’organismo. Una volta iniettato nelle persone, questo virus modificato, o meglio la proteina S che trasporta, provocherà la risposta del sistema immunitario dell’organismo, ovvero la produzione di anticorpi in grado di proteggere dal virus SARS-CoV-2. Altri vaccini basati su vettori virali ricavati dai primati sono già stati valutati in trial clinici di fase 1 e 2 per candidati vaccini di altre malattie infettive, dimostrando di essere sicuri e di generare risposte immunitarie consistenti anche con una singola dose di vaccino.

Le prime dosi vaccinali a Verona saranno somministrate dal 7 settembre. Una dimostrazione della bontà delle scelte fatte dalla Regione Veneto e dall’ università di Verona che hanno sempre creduto nella necessità di centri dedicati alla ricerca clinica di fase precoce.

Prosegue il progetto “Sentinella” promosso dall’ università, dall’ Azienda ospedaliera universitaria integrata e dal Comune di Verona che ha lo scopo principale di identificare precocemente la diffusione del virus SARS-CoV-2 nella popolazione di Verona, al fine di mettere in atto interventi efficaci di prevenzione per evitare una diffusione massiva nella popolazione, l’aumento della mortalità nelle porzioni fragili e la congestione degli ospedali con conseguente riduzione delle possibilità di cura e diagnosi della popolazione per patologie non Covid-19. Il progetto si inserisce e integra la programmazione regionale della Fase 3 andando ad identificare gruppi di soggetti residenti/domiciliati nel Comune di Verona come popolazioni “sentinella” che possano presentare precocemente i primi segni di diffusione del virus. Nello specifico la sorveglianza verrà attuata su:

  1. Soggetti di sesso femminile con età superiore a 75 anni e soggetti di sesso maschile con età superiore a 65 anni
  2. Conducenti di mezzi pubblici (esempio autobus linee urbane ed extra-urbane, taxi)
  3. Lavoratori addetti al banco cassa nel settore della ristorazione e nei supermercati/ipermercati
  4. Studenti dell’università di Verona, con particolare riferimento a quanti alloggiano presso le residenze universitarie gestite dall’Esu, ente della Regione Veneto
  5. Operatori della ristorazione (bar e mense) e delle pulizie nelle strutture sanitarie o delle grandi aziende

Gli eventuali soggetti positivi, asintomatici o sintomatici, saranno seguiti secondo i protocolli sanitari previsti dalla Regione Veneto.

Il progetto, coordinato dal Magnifico Rettore, da Evelina Tacconelli e da Roberto Leone, vede il coinvolgimento di numerosi esperti dell’università, dell’Aoui e della Ulss-9 quali Corrado Barbui, Davide Gibellini, Domenico Girelli, Roberta Joppi, Giuseppe Lippi, Stefania Montemezzi, Albino Poli, Stefano Porru, Elda Righi, Giuseppe Verlato.

La realizzazione del progetto Sentinella è possibile grazie alla raccolta dei fondi promossa dal gruppo Athesis con il Comune, la Provincia di Verona e la Fondazione Comunità Veronese, e quindi grazie alla generosità della popolazione veronese.

Da aprile la Divisione di Malattie Infettive del dipartimento di Diagnostica e sanità pubblica dell’università di Verona (Principal Investigator: Evelina Tacconelli) è centro coordinatore italiano di Solidarity importante trial multicentrico, multinazionale, promosso dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e autorizzato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Lo studio, di carattere internazionale, coinvolge già migliaia di pazienti affetti da Covid-19 con l’obiettivo di valutare le differenti strategie terapeutiche tra cui antivirali (remdesivir e lopinavir/ritonavir da solo o in combinazione con interferone beta), clorochina e idrossiclorochina. La collaborazione con l’OMS e con gli altri Paesi, la possibilità di attivare in tempi rapidi studi di ampio respiro internazionale rappresentano un valore aggiunto e un’importante occasione per coniugare la garanzia di accesso alle terapie e la possibilità di ottenere evidenze scientifiche da studi clinici controllati.

Da maggio Verona, insieme a Milano, coordina anche Ammuravid, approvato sempre da Aifa e promosso dalla Società italiana di malattie infettive e tropicali, un trial pragmatico, cioè disegnato per conoscere gli effetti di un dato trattamento sulla popolazione nella vita reale, per verificare l’efficacia dell’utilizzo dell’immunoterapia in aggiunta ad antivirali nelle forme di Covid-19 in trattamento ospedaliero. Lo studio è disegnato in modo da fornire tutti i dati necessari per la registrazione dei farmaci sperimentali per il trattamento di Covid-19 in modo da renderli rapidamente disponibili per i pazienti in tutte le strutture ospedaliere e non solo in quelle che abitualmente partecipano a ricerche farmacologiche avanzate. Ammuravid è il primo studio europeo che, con un approccio metodologico avanzato, valuta in maniera comparativa e contemporanea differenti opzioni di immunomodulatori per la riduzione della mortalità e della necessità di assistenza respiratoria nei pazienti con polmonite da Covid-19. I risultati delle terapie, che verranno già valutati nel corso dello studio, saranno utili per definire i farmaci più efficienti da portare avanti nella sperimentazione e forniranno risposte basate sulla evidenza per la terapia di Covid-19.

Il 19 maggio la Commissione Europea ha stanziato 129,5 milioni di euro per il finanziamento di progetti innovativi che si propongono di fornire soluzioni rapide alla società civile e ai sistemi sanitari in risposta all’epidemia di SARS-CoV-2. Questi fondi provengono da Horizon 2020, il programma di ricerca e innovazione dell’Unione Europea e fanno parte del contributo di 1,4 miliardi di euro destinato dalla Commissione Europea al Coronavirus Global Response. L’11 agosto 2020 la Commissione Europea ha annunciato che 23 progetti sono stati selezionati per il finanziamento. Tra questi c’è Orchestra (Connecting european cohorts to increase common and effective response to SARS-CoV-2 pandemic), coordinato dalla Sezione di Malattie Infettive dell’università di Verona, l’unico progetto selezionato per il finanziamento nella call “Pan-European COVID-19 cohorts” con un budget di 19,9 milioni di euro. Il consorzio coordinato da UNIVR include 10 Paesi europei (Francia, Germania, Spagna, Italia, Belgio, Romania, Paesi Bassi, Portogallo, Lussemburgo e Slovacchia) e 9 extra-europei (India, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela, Argentina, Brasile, Congo e Gabon).

Lo scopo principale di Orchestra è la creazione di una coorte paneuropea per la definizione di modelli di prevenzione e di terapia efficaci della infezione da SARS-CoV-2. La coorte includerà quattro tipologie diverse di individui: popolazione generale, pazienti affetti da Covid-19, individui fragili (infezione da HIV, malattia di Parkinson, donne in gravidanza e bambini) ed operatori sanitari. Il progetto utilizzerà tecniche innovative di microbiologia, genomica, statistica (intelligenza artificiale e modelli matematici) e piattaforme di condivisione di dati sensibili tra Paesi Europei che permetterà una valutazione sincronica di aspetti clinici, microbiologici, socio-economici ed ambientali di queste popolazioni in modo da fornire solide evidenze scientifiche per il controllo e la gestione di una seconda ondata di Covid-19. L’inclusione di soggetti SARS-CoV-2 positivi consentirà una definizione dei fattori di rischio per l’acquisizione e la progressione della malattia associata a SARS-CoV2 e soprattutto per le conseguenze a lungo termine. L’inclusione della popolazione generale consentirà di studiare gli effetti dell’epidemia sul resto della società quali il ritardo delle cure dovuto alla epidemia di SARS-CoV-2. La coorte Orchestra sarà inoltre costruita in modo da essere immediatamente disponibile per studi di vaccinazione, appenda disponibili su larga scala.

Il progetto Orchestra risponde al bisogno urgente di proteggere la popolazione generale e fornire rapidamente risposte che migliorino l’assistenza alle persone colpite. Il progetto avrà un impatto significativo sulle reazioni all’epidemia corrente e potrà essere utilizzato come modello per la risposta a nuove future minacce per la salute pubblica.

Ma la ricerca continua. Proprio oggi, lunedì 31 agosto, viene pubblicato sul prestigioso “Journal of Clinical Investigation” uno studio coordinato dall’Immunologia diretta da Vincenzo Bronte e dalla Medicina Interna diretta da Oliviero Olivieri, in collaborazione con l’ospedale “Pederzoli” di Peschiera del Garda, sull’utilizzo di Baricitinib, medicinale già impiegato per la cura dell’artrite reumatoide, ed usato in modo “off-label” per il suddetto studio nei pazienti affetti da Covid-19. Il lavoro fornisce la dimostrazione che i pazienti trattati con Baricitinib mostrano una marcata riduzione dei livelli sierici delle “temibili” citochine infiammatorie mentre i linfociti T e B circolanti ritornano alla norma ed il titolo anticorpale contro il virus si alza. In altri termini, il farmaco ripristina la capacità difensiva del sistema immunitario danneggiata dal Covid. Tutto questo è associato non solo ad una riduzione del fabbisogno di ossigeno per i pazienti e quindi ad un miglioramento clinico della polmonite, ma anche ad un effetto sulla sopravvivenza dei pazienti. Solo uno dei 20 pazienti trattati con Baricitinib (5%) è deceduto dopo il completamento del trattamento terapeutico, rispetto a 25 pazienti morti su 56 (45%) nel gruppo di pazienti non trattati.

Sebbene i dati clinici vadano confermati con studi più ampi e randomizzati, il lavoro ha il merito di porre al centro dell’attenzione un particolare sistema di attivazione molecolare che sembra cruciale (una sorta di “centralina” infiammatoria) nel perpetrare il danno da Covid.

Poiché il trattamento è per via orale, esso può esser somministrato anche fuori dall’ ospedale. Ciò può limitare le conseguenze negative della pandemia ed essere, quindi, di estrema rilevanza per i sistemi sanitari di tutto il mondo.

Verona si distingue anche nel campo della diagnostica. Lo scorso marzo Giuseppe Lippi, professore ordinario di Biochimica clinica del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento dell’università di Verona, e direttore dell’Unità operativa complessa di Laboratorio Analisi dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona, è stato nominato a capo di una task force della Federazione internazionale di Chimica clinica e Medicina di laboratorio (Ifcc) sulla patologia da coronavirus. La Ifcc, principale organizzazione mondiale nell’ambito della Medicina di laboratorio, riunisce oltre 100 società nazionali di Medicina di laboratorio di tutto il mondo, con quasi cinquantamila membri. Le principali funzioni della task force dell’Ifcc su Covid-19 comprendono la disseminazione d’informazioni utili a migliorare l’accuratezza e l’efficienza diagnostica per il coronavirus, fornire informazioni utili ai clinici ed alla popolazione sul significato dei test diagnostici, e produrre raccomandazioni e linee guida in merito a protocolli diagnostici e bio-sicurezza nella gestione dei campioni utilizzati per diagnosi e monitoraggio del virus.

La creazione di un network tra i vari laboratori e anche tra gli altri soggetti che si occupano di salute pubblica sta arrivando ad importanti studi che Lippi sta conducendo in collaborazione con Stefano Porru primario della Medicina del Lavoro di Verona, Mario Plebani e Giorgio Palù, docenti dell’università di Padova, alcuni appena pubblicati su prestigiose riviste scientifiche internazionali. Lo studio pilota, che ha come oggetto il monitoraggio dei dipendenti dell’Azienda Ospedaliera (apparso di recente sula rivista scientifica Clinical Chemistry and Laboratory Medicine), ha consentito di rivelare una positività del 4.6% nella popolazione testata. La fase successiva, tuttora in corso ed unica nel suo genere, consentirà il monitoraggio a breve e lungo terminale della risposta anticorpale conseguita, elemento indispensabile per valutare la progressione dell’immunità di gregge e l’eventuale risposta vaccinale, quando i primi vaccini saranno disponibili.

È in fase di definizione un accordo con la Federazione Sport Invernali degli Stati Uniti d’America che prevede il coinvolgimento diretto dei laboratori di ricerca dell’ateneo scaligero (Biochimica Clinica e Microbiologia) nel monitoraggio per Covid-19 degli atleti statunitensi che prenderanno parte alle tappe europee della Coppa del Mondo di sci e successivamente ai campionati mondiali di sci alpino di Cortina 2021. Ciò consentirà di definire strategie diagnostiche e protocolli operativi, che potrebbero essere utili alle organizzazioni sportive internazionali ed alle autorità locali per l’analogo monitoraggio di tutti gli atleti che parteciperanno alle Olimpiadi invernali dell’anno successivo.

Proseguono inoltre i lavori per Enact, finanziato da Fondazione Cariverona e, in parte, da Fondazione Tim partito lo scorso aprile. Progetto scientifico di ricerca medica originale che sta affrontando l’emergenza pandemica da Coronavirus con un approccio integrato e multidisciplinare, con l’obiettivo di definire parametri clinico-epidemiologici, virologici e immunologici in grado di chiarire i meccanismi usati dal virus per diffondersi e causare una malattia così devastante. Immunologia, infettivologia, epidemiologia, medicina interna sono stati chiamati a realizzare quella che è stata definita una vera e propria “corsa per la scienza”.

In particolare uno dei sottoprogetti è Immunovid, supervisionato dall’immunologo Vincenzo Bronte, si è occupato della comprensione dei meccanismi che stanno alla base dei disordini immunologici che seguono all’infezione da Coronavirus. Sono stati ottenuti diversi risultati, in particolare, è stato identificato un bersaglio molecolare, coinvolto nella cascata di alterate reazioni immunologiche che portano a stati infiammatori abnormi e spesso incontrollabili (la cosiddetta “tempesta citochinica”), che possono essere disattivati da farmaci disponibili e in uso per altre patologie.

Sempre all’interno di Enact, lo studio neurologico “Nervous system: subclinical target of Sars-Cov-2 infection” è stato pubblicato sulla rivista scientifica “Journal of Neurology Neurosurgery and Psychiatry”. La malattia da Sars-Cov-2 non colpisce, infatti, solo i polmoni. Molti dei sintomi individuati in questi mesi – riduzione del gusto e dell’olfatto, alterazione dello stato di coscienza, fatica, mialgie e cefalea – sono di fatto riconducibili ad alterazioni del sistema neurologico. Lo studio ha messo in luce le modalità con cui il sistema nervoso è così frequentemente coinvolto nei dati clinici dei pazienti affetti da Covid-19.

Ricercatrici e ricercatori dell’ateneo scaligero sono al lavoro anche su molti altri fronti. La Medicina del Lavoro diretta da Stefano Porru sta portando avanti un lavoro di sorveglianza sul personale sanitario dell’Aoui di Verona. Lo studio, con una delle più grandi casistiche del mondo, è già stato pubblicato sull’International Journal of Enviromental Research and Public Health dimostrando l’importanza dello screening del personale sanitario per la prevenzione della diffusione dell’epidemia di COVID-19. Sempre la Medicina del Lavoro, in collaborazione con il Laboratorio di Analisi, diretto da Giuseppe Lippi, con la Statistica Medica di Giuseppe Verlato, e con il Servizio di rischio clinico di Stefano Tardivo, sta conducendo uno studio epidemiologico per la valutazione della risposta anticorpale tra il personale sanitario.

La ricerca prosegue anche in ambito psichiatrico. Di recente il gruppo di lavoro coordinato da Corrado Barbui ha collaborato con l’Oms per l’elaborazione delle linee guida sulla gestione delle manifestazioni neuropsichiatriche in pazienti affetti da Covid-19 in particolare delirium, ansia, depressione e disturbi del sonno.

È in corso anche un progetto di ricerca – primo in Europa – ideato e promosso da un team della Sezione di Psichiatria, diretta da Mirella Ruggeri, del dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento in collaborazione con la Sezione di Medicina del lavoro del dipartimento di Diagnostica e sanità pubblica. L’obiettivo è quello di valutare l’impatto psicologico della pandemia Covid-19 sul personale universitario e ospedaliero in servizio nelle due sedi ospedaliere della Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona (Responsabile scientifico del progetto è Antonio Lasalvia). L’obiettivo è quello di analizzare le ricadute significative in termini di surmenage lavorativo e disagio psicologico da parte del personale chiamato a gestire l’emergenza sanitaria.

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