Altro drammatico colpo per gli allevatori scaligeri col blocco esportazioni di soia

E’ stato deciso dall’Argentina il blocco delle esportazioni di olio di soia e farina il quale assesta un altro brutto colpo agli allevatori scaligeri. Successivamente alla sospensione di forniture di cereali dall’Ucraina, dalla Bulgaria e dall’Ungheria, diverse aziende agricole avevano infatti iniziato ad acquistare il fabbisogno per i mangimi in Sudamerica, dove Brasile e Argentina sono tra i maggiori produttori mondiali di soia. E adesso che anche quei rubinetti si chiudono, le conseguenze sull’industria mangimistica italiana saranno molto pesanti, con la conseguenza di nuove tensioni sui prezzi.
“Stiamo vivendo una situazione drammatica – evidenzia il vicepresidente di Confagricoltura Veneto e allevatore di vacche da latte in provincia di Verona Paolo Ferrarese -. Già acquistare mais, girasole e soia in Argentina comportava costi più alti rispetto all’Ucraina, considerata anche l’incidenza dei trasporti e dei container. Ora dovremo cercare altri mercati, ma è chiaro che i prezzi saliranno ulteriormente e non so quanto a lungo riusciremo a tenere duro. Il latte viene pagato 41 centesimi al litro, ma i costi di produzione sono lievitati a 54-55 centesimi al litro tra mangimi, gasolio ed energia elettrica. Io quest’anno prevedo di chiudere con un bilancio in perdita di 150.000 euro, che riuscirò a recuperare solo parzialmente con gli introiti di altre colture. Quante stalle riusciranno a resistere? Anche gli allevamenti che producono seminativi non sono autosufficienti e devono comprare buona parte dei mangimi. Bisogna trovare soluzioni rapide per garantire gli approvvigionamenti e i cicli di produzione, contenendo i costi dei mangimi che risulta insostenibile”.
Arrivare all’autosufficienza nella produzione dei cereali sarà complicato per il Veneto, regione che vanta già un grande sviluppo agricolo. “Potremmo aumentare la percentuale di soia – sottolinea il presidente dei risicoltori di Confagricoltura Veneto e produttore di seminativi Filippo Sussi -, ad esempio nei secondi raccolti, ma con i prezzi energetici attuali bisognerà vedere se ci sarà convenienza a farlo. In ogni caso i margini di crescita non sono molti. Se venisse tolto il greening, cioè la percentuale del 5% destinata a pratiche ecologiche, potremmo forse aumentare la produzione del 3-4%, ma non basterebbe comunque per garantire il nostro fabbisogno”.
La Regione Veneto è la maggiore produttrice italiana di soia. La superficie coltivata nel 2021, secondo i dati provvisori della Regione Veneto e Istat, viene stimata in aumento a circa 141.000 ettari (+3,3%). Venezia si conferma la prima provincia in assoluto per investimenti (34.700 ettari, invariati), seguita da Padova (32.700 ettari, +4,1%) e Rovigo (31.500 ettari, +2,8%) e, più distanziate, le altre province, in particolare Verona (15.200 ettari), che fa segnare la maggior crescita (+15,8%), Treviso (14.800 ettari, +4,3%) e Vicenza (11.600 ettari, +14,2%).
“Il primo aprile nel Veronese sarà seminato il mais e il primo maggio toccherà alla soia. Ma la situazione è preoccupante. È ormai un anno che tutti gli indici spingono al rialzo i prezzi dei cereali e delle proteoleaginose – conferma il presidente provinciale di Cia Andrea Lavagnoli – Agricoltori Italiani -. I segnali per l’immediato futuro non danno indicazioni di un abbassamento dei prezzi. Le aziende zootecniche veronesi, da tempo, hanno destinato a queste colture la totalità dei terreni posseduti proprio per arginare il rialzo dei prezzi dei mangimi e delle materie prime. Il problema è che, a fronte dei maggiori investimenti di superficie a mais e a soia che si stanno programmando, si dovranno fare i conti con la carenza di fertilizzanti azotati e dei prezzi altissimi dell’energia necessaria per le irrigazioni. Stiamo attendendo che vi sia una sospensione della Pac per gli aiuti diretti al reddito degli agricoltori, consentendo la coltivazione delle superfici a riposo e l’applicazione di premi accoppiati alle colture strategiche come quelle citate. Oggi la scelta è tra sostenibilità ambientale con costi proibitivi per gli agricoltori e sicurezza alimentare per disporre di derrate alimentari per gli animali e i consumi”.

L C

Fonti: https://www.mattinodiverona.it/